
«Non potete arrestarlo. È un poeta». Sembra ancora di sentirla urlare alla polizia di non ammanettare Allen Ginsberg, il grande artista americano.
Quando si ha il fuoco dentro, il fuoco esce anche nei dettagli. Così il temperamento ambivalente di Fernanda Pivano si descrive guardando le sue mani. Smalto tenue, e anelli con pietre monumentali. I monili di Fernanda sono storie che conducono ad altre storie, più che ornamenti sono per lei “squarci di esistenza”. I gioielli disegnati dal marito e designer Ettore Sottsass, la spilla con i pistilli che indicano gli anni di matrimonio, le collane etniche trovate durante i suoi viaggi, gli anelli con mitologiche tracce di meteorite che alludono alle stelle.
I gioielli sono i simboli del suo incanto. Lei sempre ardente, lei che cammina sull’orlo per vedere la profondità del burrone ma non ci cade mai, lei che è un’esploratrice di scritture scarne e lontane. C’è il suo pudore, mutuato dalla famiglia d’alta borghesia in cui è cresciuta, e poi il contrasto delle sue giornate passate a studiare la letteratura americana così corporea, così incandescente nel suo urlo.
Lo smalto borghese sulle unghie è il lato antico di Fernanda che resiste all’audacia dei mondi che frequenta.
Pivano è amica di tantissime persone, quasi tutti poeti. Potrebbe diventare con grande facilità l’amante di gran parte di loro, ma non lo diventa mai. Non si distrae dalla missione di diffondere poesia per farne nascere di nuova e spiega, senza diplomazia, «o scrivo o faccio la puttana. Insieme è troppo faticoso».
A ogni persona che incontra fa baciare la sua collana preferita, sempre al collo. C’è attaccato un pendaglio con il simbolo della pace. La sua religione è la letteratura, il suo pantheon è formato da scrittori fragili e idealisti, la sua vocazione dire a tutti noi che possiamo ancora essere liberi, leggendo le pagine di libertà degli altri.
I pellegrinaggi di Pivano si compiono in città e paesi: Cortina, Venezia, Africa, San Francisco, Milano. «Con chilometri di libri e di viaggi, leggendo tutto e andando a incontrare di persona tutti». Così Fernanda Pivano ha passato la vita a tradurre, studiare e divulgare la letteratura. Quella americana che è la letteratura di una libertà sempre nuova, senza redini. Le teorie che hanno fatto il sessantotto sono nate tra quelle pagine, in quel laboratorio di pensiero che è stata l’America delle utopie non violente.
Diffondere in Italia la potenza della letteratura d’oltreoceano diventa prestissimo la missione di Fernanda Pivano, un’ambizione che dura fino alla fine, con incursioni nella poesia e nella musica, accanto a scrittori e artisti sempre più giovani.
In principio però, «l’amorosa ricerca americana» di Fernanda comincia grazie a un uomo più grande, uno scrittore, Cesare Pavese.
E così per colpa di un libro e di un mezzo amore la timida Fern, come la chiama Pavese, diventa la Nanda di tutti.
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