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Il mare mi aiuterà

Lo scrittore Albert Camus e le lettere che scriveva.

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Miryam Scandola
mar 28, 2025
∙ A pagamento
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Albert Camus è stato uno scrittore e filosofo francese. Nel 1957 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura.

Sua nonna gli dice che a calcio deve farsi mettere in porta, perché al portiere le scarpe si consumano meno e non c’è niente da sprecare nell’infanzia di Albert Camus.

Vive bambino in Algeria, in casa la nonna quasi feroce, una madre sempre silenziosa e un padre che muore, prestissimo, al fronte.

C’è miseria, ci sono scarafaggi sulle scale ma anche luce, mare, sempre estate.

Nei taccuini che scrive da adulto, Albert Camus spesso torna a quei giorni iniziali con il sapore di una povertà quasi idealizzata, per certi versi, felice, in contrasto con la vita successiva, quella parigina «che logora i nervi e inaridisce il cuore».

Da ragazzo compie tutta la sequela di lavori a cui la sua condizione lo costringe. E quindi è commesso, commerciante, impiegato, pure attore. Fino a quando si abbandona alla sua vocazione, alla scrittura, con la forza senza fine di chi viene dal niente e quindi in ogni cosa che fa mantiene la gravità della sopravvivenza.

Un padre, per lui, a un certo punto arriva, ed è come un padre di pensiero, che lo guarda questo bambino malconcio con il dono dell’intelligenza e della scrittura. Lo guarda come si osserva il talento che cresce, se qualcuno prima lo ammette. È il suo insegnante delle elementari.

Nel 1957, quando vince il Nobel per la Letteratura, Albert Camus scrive al suo maestro Louis Germain. Ringrazia il primo uomo che ha creduto in lui, anzi, «uno dei due o tre uomini a cui devo più o meno tutto».

Vince il premio più importante ma trascorre la vita collezionando infiniti dolori, la sua è «un’esistenza propriamente tragica», come dirà qualcuno, eppure non riesce mai a essere risentito con la vita. In viso Camus ha spesso quella «felicità che non dimenticava nulla» come fa dire a un suo personaggio nel libro La Peste.

Albert Camus lotta prima contro la nonna che non vuole farlo studiare per timore delle spese. Poi affronta la malattia di cui non parla praticamente mai, ma che lo stanca e lo sfinisce (ha la tubercolosi).

Al lavoro combatte, per la giustizia, sui giornali scrive editoriali che sono incendio. E non smette di farlo, pure tra le tante delusioni che soffre dai suoi compagni di lotta, nell’essere frainteso dagli altri scrittori, al centro, come si trova, di polemiche che spezzano amicizie, come quella con il filosofo Sartre.

Resta solo in questo «mondo impazzito».

Eppure c’è fiducia, sempre, in quello che scrive. La sua morale è la rivolta che non distrugge, ma costruisce. Perché lui crede alla vita solo quando è verità, creazione, capacità di ardere, soprattutto amore.

La luce e la sua speciale fedeltà alla luce è ciò che lo salva, quando la scrittura lo abbandona. «Ciò che è notevole nell’uomo non è che egli si disperi, ma che superi o dimentichi la disperazione», scrive nei suoi taccuini.

I giorni di buio sono tanti nella sua vita. Dopo aver concluso un’opera, per lui c’è sempre la sbronza dell’intelligenza, un tempo indicibile di vuoto e di paura. Cade nella depressione, come confida al suo grande amore Maria Casarès, e allora pensa al mare. Il mare di casa, il mare della sua vita povera di bambino che però cresce vicino all’acqua e al colore che quell’acqua prende, quando riflette il sole.

«Il mare mi aiuterà».


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La madre

Camus diventa scrittore per compensare il silenzio. Per trovare parole nuove e finalmente dare corpo al sogno di una comunicazione mai avvenuta con sua madre.

Albert ha una mamma che è solo uno sguardo che lo segue. La donna parla pochissimo, quasi niente con suo figlio.

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