
Suo padre la caccia via senza una parola decente, quando la vede arrivare con la madre, nel luogo dove lui si trova in vacanza. Non importa se è una bambina di nove anni, appena scampata a un’appendicite diagnosticata male e tardi. «Quel che valeva per mia madre, valeva anche per me».
Qualche anno dopo Joaquin Nin, pianista e padre ipercritrico, abbandona del tutto lei e il resto della famiglia.
Alla notizia «mi colse un dolore isterico» confida Nin nel suo diario. Non sa bene come reagire perché ha solo undici anni. Prende un foglio, una penna e scrive una lunghissima lettera al genitore perduto. Non la spedisce ma le resta addosso, in quei giorni dove finisce la sua infanzia, la febbre della scrittura. Lo scopre subito: la pagina è per lei lo spazio dove denudarsi.
Così diventa la scrittrice che - non per provocare ma piuttosto per inseguire l’esigenza di dire - riesce a descrivere ciò che di noi è terribilmente corporeo: il desiderio, il sesso come rito tangibile, dove «le mani sono piene di prove».
La storia di Anaïs Nin è la storia di una scrittrice con 35mila pagine di diario che diventa famosa a sessantatré anni. La sua opera monumentale è la scrittura di tutta la vita: è il suo diario.
Scrive continuamente per paura di perdere l’abitudine alla scrittura.
Annotare appunti, ogni giorno e ovunque si trovi, è la sua dipendenza ma anche l’unica modalità con la quale riesce a spalancare la sua ribellione. Al destino banale del femminile, lei oppone la scrittura e l’eros, come continua verifica di sé, per sapersi, per esistere davvero almeno nell’attimo della vertigine.
«Amo vivere, muovermi». Diventa una venere molteplice, con una moltitudine di amanti maschili e femminili, due mariti, un grande amore letterario. Lo fa per via del fatto che la vita è breve, ed è una sola.
«Sono sempre stata tormentata dall’immagine della molteplicità dell’io. A giorni la chiamo ricchezza, e giorni invece mi sembra una malattia, una proliferazione pericolosa come un cancro. […] Da piccola fui molto delusa nel sapere che avevamo una vita sola, e mi sembra di aver voluto moltiplicare le esperienze per rifarmi di questa delusione».
Anaïs Nin nel frammento di Diario I, 1931, 1934, Bompiani
Henry
Quando Anaïs vede per la prima volta lo scrittore americano Henry Miller si dice sottovoce «ecco un uomo che potrei amare».
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